30
Maggio
2021

Un marchese eccentrico, un gioiello moresco e una lapide romana.

Erano molti anni che volevo fotografare il Castello di Sammezzano. Non ero mai entrato.

L’ ingresso principale del Castello.

Ho potuto finalmente realizzare questo desiderio, in occasione delle giornate del FAI, il 15 maggio scorso.

Come tanti sanno il Castello versa in condizioni di incuria da almeno trent’anni; nella zona c’è un bel gruppo di volontari (Sammezzano- Comitato FPXA 1813-2013), promotori di studi per la conoscenza e la valorizzazione della villa di Sammezzano, che si sono posti l’obiettivo di perseguire la sua rinascita.

La mia  visita è stata fatta con una guida brava e preparata, con una grande passione per le sorti del Castello. Ho quindi chiesto a lui,  Claudio Clementi, di accompagnare le mie foto con le sue conoscenze. I testi in corsivo sono di Claudio che ringrazio della sua generosità.

Nel Valdarno fiorentino, nel Comune di Reggello a soli 20 minuti di auto da Firenze, si trova in cima ad una collina un gioiello di rara bellezza, unica esperienza di Orientalismo in Italia: il Castello di Sammezzano.

Questa meraviglia, è stata una struttura turistico ricettiva fino ai primi mesi del 1991, e da allora sono passati 30 anni ed è sempre rimasto chiuso, ed i segni del tempo e dell’incuria purtroppo iniziano a farsi sentire anche se la bellezza del suo piano nobile è ancora abbagliante, pur facendo intravedere i segni del tempo che passa…… sì perché i suoi splendidi interni sono realizzati quasi interamente in stucco, legno e gesso, ragion per cui in assenza di una costante manutenzione i colori e gli stucchi sono preda di un progressivo decadimento.

Il Castello di Sammezzano, in origine una fortezza, assume la veste attuale grazie al genio di un unico personaggio, il Marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona, il quale grazie alla cospicua somma e ai possedimenti ereditati dalle famiglie Panciatichi, Ximenes e Medici, realizza questa meraviglia.

Particolare di una mappa settecentesca riferita alla Bandita di Sammezzano. Possiamo notare l’indicazione di un vecchio castello con la torre.

Il Castello nella sua veste attuale è stato pensato, disegnato e realizzato interamente dal Marchese, il quale ha viaggiato tantissimo in Europa, arricchendo la sua già sconfinata Biblioteca di nuovi testi acquistati durante i suoi viaggi, e grazie al suo lavoro di studio e approfondimento ha realizzato la più grande esperienza di Orientalismo in Italia pur non essendo mai stato in Oriente.

Il Panciatichi pur senza averne il titolo di studio fu un ingegnere, un architetto, un botanico (realizzando lo splendido Parco di 180 ettari che circonda il Castello), un parlamentare, un geologo, un mecenate profondamente innamorato di Firenze a cui regalò buona parte dei suoi libri e finanziò la realizzazione di diverse statue che si trovano nel Piazzale degli Uffizi e la statua di Dante che si trova in Piazza Santa Croce alla sinistra della facciata della Basilica.

Il Panciatichi nasce nel 1813 e muore nel 1897, una mente brillante con un caratteraccio che sarà motivo di emarginazione da parte della nobiltà fiorentina del tempo, che definì il Panciatichi “un bischero” per aver investito una fortuna in stucco, legno e gesso.

I primi “schizzi” del Castello risalgono al 1845 e le principali sale saranno terminate intorno al 1878, mentre la Sala del Giuramento e la Cappella saranno terminate successivamente.

L’itinerario che qui ripercorreremo è quello che il Marchese faceva fare a quei pochi ospiti che ammetteva a Sammezzano.

SALA DELLE COLONNE

E’ l’ingresso del Castello al qual si accede da due splendide scalinate esterne. In questa Sala iniziata nel 1845 e terminata nel 1853 inizia il viaggio nello spazio che il Marchese ci propone.

E’ una Sala tipicamente indiana per forme, colori e geometrie: da notare gli stemmi di famiglia che si stagliano sulla parete di fronte all’entrata (Panciatichi e Ximenes);

i gigli sulle pareti laterali, fiori simbolo della purezza araba; le melograne sui capitelli delle colonne, simboli tipici della massoneria del tempo;

i messaggi che il Marchese ci comunica NON PLUS ULTRA scritto su entrambe le porte laterali e la gigantesca scritta sul portone di fronte che dice SEMPRE L’UOMO NON VOLGARE E NON INFAME O SCAVALCATO O INUTILE SI SPENSE, a significare che nel mondo gli uomini corretti muoiono inutilmente o vengono scavalcati dai raccomandati.

Il piano con il vestibolo e il soffitto della Sala delle Colonne

 

SALA BIANCA

Dalla colorata India si passa nella bianca Spagna;

VIRTUS IN MEDIO. La virtù sta nel mezzo.

questa è la Sala della Volta Stellata, così denominata poiché sul soffitto si trovano dei vetri colorati azzurri che ricordano un cielo stellato.

In questa Sala si delinea forte il temperamento ed il carattere del Marchese, che ai lati in modo speculare scrive TODOS CONTRA NOS

e dall’altra parte NOS CONTRA TODOS, ovvero, tutti contro di noi e noi contro tutti… a significare che al Marchese del pensiero della nobiltà dell’epoca sul suo lavoro non interessava minimamente.

Sala Bianca.

 

SALA DA BALLO

E’ il salone principale del Castello, bellissimo, con stucchi e forme che sembrano merletti tanto sono perfetti e affascinanti.

E’ il Salone delle Feste dove il Marchese ammetteva raramente i suoi pochi ospiti. Nel centro della sala si trova sul pavimento un rosone di marmo che non è altro che una bellissima fontana.

La sua architettura richiama l’Alahambra di Granada.

Al piano superiore della Sala da Ballo di intravede un ballatoio con le entrate delle camere della servitù. Dato che questa era la sala da ballo, sulla parete frontale è riportato uno spartito musicale tratto dall’Ernani di Verdi che riporta la frase: FIERO SANGUE D’ARAGONA NELLE MIE VENE TRASCORRE, sempre a voler simboleggiare il suo orgoglio nell’essere un nobile aragonese.

Cupola della Sala da Ballo.

SALA DEGLI SPECCHI

E’ la prima Sala a pianta ottagonale, e nuovamente si cambiano le atmosfere, dalla bianca Spagna si passa ad una sala tipicamente iraniana.

Questa era la camera da letto del Marchese, una sala bianca il cui soffitto è totalmente in stucco e gesso, con forme che ricordano piccole stalattiti che calano dal soffitto con lunghezze differenti, le cui estremità sono totalmente coperte di specchi.

Il Marchese si dice amasse dormire con intorno molte candele le quali illuminavano gli specchi al soffitto, che rimandava al pavimento un gioco di luci meraviglioso.

 

CORRIDOIO DELLE STALATTITI

Questo bellissimo corridoio ci riporta nuovamente nella coloratissima India.

In questo corridoio che trae il suo nome dai soffitti coperti di stalattiti variopinte, si nasconde tutta la forza di carattere del Marchese: dopo essere stato eletto parlamentare quale liberale di destra, nel 1867 si dimette e torna a Sammezzano poiché il suo partito votò un provvedimento che prevedeva la confisca di buona parte dei beni della Chiesa e nonostante fosse un anticlericale convinto, non potè tollerare che il suo partito votasse un provvedimento così forte contro la proprietà privata e pertanto, deluso dalla politica, tornò a Sammezzano e scrisse furente tutta la sua delusione in una iscrizione in latino, che tradotta ci dice questo: MI VERGOGNO A DIRLO MA E’ VERO, GABELLIERI, PUTTANE, LADRI E SENSALI CONTROLLANO L’ITALIA E LA DIVORANO, MA NON DI QUESTO MI DOLGO, MA DEL FATTO CHE CE LO SIAMO MERITATI.

Il Corridoio delle Stalattiti.

Corridoio delle Stalattiti con iscrizione.

Soffitto del Corridoio.

Altro soffitto del Corridoio.

 

OTTAGONO DORATO

Di nuovo una Sala con pianta ottagonale, forma geometrica molto importante per l’Islam, simbolo di perfezione che ricorda il simbolo matematico dell’infinito.

Questo era un “fumoir”, luogo dove appunto il Marchese era solito rilassarsi fumando.

Soffitto della Sala dell’Ottagono Dorato.

 

SALA DEI GIGLI

Nuovamente una Sala indiana, con forme, colori e geometrie tipiche del Paese asiatico.

Sala dei Gigli

E’probabilmente la sala più bella del Castello e prende il nome dai gigli che sono riportati sulle numerose colonne presenti.

Il giglio che però viene rappresentato, non è il tipico giglio bottonato (presente nella Sala delle Colonne), ma è un giglio un po’ particolare sulla cui sommità il Marchese raffigura una mezza luna, simbolo tipico delle terre arabe.

Questa bellissima sala era per Ferdinando, la sala della Musica, ed è infatti sovrastata da quattro splendidi balconcini sui quali stavano i musicisti a suonare.

Questa Sala rappresenta anche tutta la maniacalità nei particolari messa dal Marchese nella realizzazione di Sammezzano: dato che non poteva pensare di importare dall’esterno le piastrelle per il rivestimento delle pareti; fece costruire una fornace nel prato antistante al Castello in cui venivano cotte le piastrelle e fissati i colori sulle stesse, rigorosamente sotto la sua supervisione.

Soffitto della Sala dei Gigli

Particolare del soffitto della Sala dei Gigli.

L’eleganza della Sala dei Gigli e il suo pavimento.

 

SALA DEL GIURAMENTO DEI NOBILI D’ARAGONA

In questa sala bianca, spicca il giuramento riportato sopra il caminetto, nel quale i nobili d’Aragona riconoscono il potere del nuovo sovrano del Regno d’Italia, a patto che lo stesso mantenga inalterati diritti e privilegi della nobiltà alla quale Ferdinando apparteneva.

 

SALA DEI PAVONI

Questa è una sala nuovamente indiana, la più ricca di colori del Castello, e veniva usata come sala da pranzo , come testimoniano i due “saliscendi” sulla parete di destra, che comunicavano direttamente con la cucina.

Sono visibili gli sportellini dei saliscendi dalla cucina.

Il nome della sala origina dalla tipica struttura dei soffitti che ricordano la coda del pavone maschio mentre inizia “a far la ruota”.

Tuttavia questa struttura è del tutto simile per forme, alla struttura a pennacchio del gotico inglese e quindi, considerando i molti viaggi del Marchese in Europa, non possiamo esser sicuri che la sua fonte di ispirazione sia stata realmente la coda del pavone.

I colori sui soffitti sono ancora oggi molto ben conservati (a differenza di quelli sulla parete esterna, che presentano purtroppo grossi danni) grazie alla tecnica che Ferdinando utilizzò per il fissaggio, ovvero l’albume delle uova.

I colori e le geometrie danno la sensazione delle ruote dei pavoni.

Le bellissime geometrie della Sala dei Pavoni.

 

OTTAGONO DEI PIATTI SPAGNOLI

Questo è l’ultimo degli ottagoni presenti nel Castello, e siamo nella parte orientata ad ovest.

In questa meravigliosa Sala, il Marchese amava passare le ultime ore della giornata in modo da poter vedere tramontare il sole.

In questa Sala è forte il richiamo alla Spagna, ed il nome deriva dalla particolarità del soffitto nel quale Ferdinando scelse di incastonare un meraviglioso servito di piatti, che si dice fosse il suo servito nuziale.

La geniale propspettiva della Sala dei Piatti spagnoli.

 

SALA DEGLI AMANTI

Questa è nuovamente una Sala bianca, con decorazioni in gesso talmente raffinate che sembrano ricami.

L’arco che divide la Sala degli Amanti da quella degli Ottagoni dei Piatti spagnoli.

Il nome della Sala origina dal fatto che sulle cornici delle porte e ai lati delle stesse sono riportati i nomi di amanti che sono stati rappresentati nella letteratura: Ginevra e Lancillotto, Tristano e Isotta. Questa sala è stata realizzata in un secondo momento, in origine era il terrazzo del Castello, e solo in seguito divenne invece lo studio di Ferdinando. Questa è la Sala della maturità del Marchese, la sua età inizia ad avanzare ma il suo temperamento è sempre lo stesso e lo si comprende bene leggendo le iscrizioni che lui stesso riporta “IL POPOLO MI FISCHIA, IO MI APPLAUDO”; al contempo questa è la Sala della “consapevolezza” dove cioè Ferdinando riporta in un’iscrizione sopra la prima finestra “OGNI FORTE NEL MONDO E’ SEMPRE SOLO”, si rende conto infatti di pagare con la solitudine il suo essere contro il pensiero della nobiltà fiorentina del tempo, che lo emarginerà tanto da arrivare a dire durante il suo elogio funebre, che con la morte del Panciatichi se ne va “una macchietta”!!!

Il soffitto della Sala degli amanti.

 

CAPPELLA

L’ultima Sala che il Panciatichi faceva visitare a coloro che ammetteva a Sammezzano era una Cappella, cosa forse un tantino strana considerando il suo essere un anticlericale per eccellenza

In realtà non è così poiché la Cappella in questione non è una Cappella cristiana, il richiamo viceversa è sempre verso l’Islam: è presente un altare monolitico tipico delle religione cristiane; dietro l’altare è riportata su fondo dorato la frase DIO E’ GRANDE, che non è altro che la traduzione italiana di Allah Akbar; infine sull’altare il Marchese pone una croce simbolo della cristianità dietro ad una cupola di una moschea, e sotto viene disegnato un triangolo equilatero con al centro un occhio, simbolo della trinità cristiana ma anche della massoneria del tempo.

La cupola della Cappella.

Questa Cappella rappresenta pertanto un messaggio di pace che Ferdinando ci vuol mandare, un messaggio che ci dice che al di là delle differenze vi può essere unità e civile convivenza tra le principali idee o religioni.

 

SALA BIZANTINA

Questa Sala era destinata ad ospitare la sala della lettura e dello studio del Marchese, il quale non teneva librerie per non coprire le meravigliose pareti.

In questa sala c’erano solo tavoli alle pareti e al centro della stanza e i libri dal Marchese venivano letti e consultati sui tavoli. La sua sconfinata biblioteca era conservata in stanze di fattura meno nobile. E’ una sala cromaticamente improntata al blu e dedicata al ramo della Famiglia Panciatichi come risulta evidente dagli stemmi riportati in alto sulle pareti.

Ferdinando rimane un genio che non fu compreso dalla nobiltà del tempo, e il suo amore per l’Oriente così diverso dalla bellezza dei marmi fiorentini di Santa Maria del Fiore o di Santa Maria Novella, gli consegnò l’appellativo di “bischero” per aver investito tutte le sue ricchezze nel realizzare un progetto fatto di materiali poco nobili quali legno, stucco e gesso. Tuttavia la brillantezza del suo intelletto ci consegnano oggi un gioiello di rara bellezza ed il tempo gli ha dato pienamente ragione.

Scendendo le scale dal piano nobile verso l’uscita si può ammirare questo mosaico sul soffitto.

 

Il PARCO DEL CASTELLO

Il parco di Sammezzano nacque per volontà del Marchese, comprende circa 180 ettari attorno al Castello tra i più vasti della Toscana.

Sfruttando terreni agricoli attorno alla sua proprietà, il Marchese vi fece piantare una grande quantità di specie arboree esotiche, come sequoie e altre resinose americane, mentre l’arredamento architettonico fu realizzato con elementi in stile moresco quali un ponte, una grotta artificiale (con statua di Venere), vasche, fontane e altre creazioni decorative in cotto e una “casina cinese” per il guardiano del parco. Nel 1890 c’erano qualcosa come 134 specie botaniche.

La casina del guardiano o casina cinese .

La casina cinese lato ovest.

Il ponte moresco oggi assaltato dalle piante e pericolante.

Ponte moresco lato ovest.

Sequoia gemella nel parco della Ragnaia .

La sequoia gemella, dal censimento del 2017, è alta 54 metri ed ha una circonferenza di m.8,4. Nel parco si trova il più numeroso gruppo di sequoie giganti con ben 57 esemplari adulti, tutti oltre i 35 metri.

 

UNA LAPIDE NEL CASTELLO

C’è un legame fra il mio paese, Antella, il Marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona e il Castello di Sammezzano. Questo legame fu scoperto nel 1971 da Silvano Guerrini, studioso di storia locale ed Ispettore Onorario alla Soprintendenza per i Bene Culturali di Bagno a Ripoli dal 1984 al 2001.

Nel corridoio al piano terra sulla parete a destra ecco l’epigrafe romana. Foto di Silvano Guerrini, 1971

Ebbene il 25 aprile del 1971 Silvano Guerrini vide murato nel corridoio al piano terra del Castello una epigrafe funeraria romana, data per dispersa dalla metà dell’Ottocento. La storia ci dice che quella epigrafe datata fra il 1° e 2° sec. d.C. fu fatta fare da una certa Versinia in memoria del marito Publio Alfio Erasto, commerciante di legnami come racconta un manoscritto di  Pietro Tancredi nel 1546, conservato presso la  Biblioteca Comunale e degli Intronati di Siena.

La lapide murata nel castello di Sammezzano.

Piero Tancredi dice che quella epigrafe funeraria fu rinvenuta nel 1546 nell’allora proprietà Niccolini che avevano possedimenti ad Antella fin dal 1442. Nel manoscritto, infatti, è evidenziato il rinvenimento “prope flumen Antellae in fundo Angeli Niccolini“. Silvano Guerrini ipotizza, quindi, che la villa di Publio Alfio Erasto doveva essere nella zona del podere Ellera 1 (Antella, fattoria ex Pedriali) dove dall’inizio degli anni ’60 del secolo scorso durante gli scavi per la costruzione dell’Autostrada del Sole erano venuti in luce reperti riconducibili ad una villa rustica romana.  Successivamente, nel 1976 e nel 1983 , durante i saggi più a valle, per l’insediamento di un villaggio artigianale, dapprima durante la posa di un cavo telefonico fu rinvenuto un rocchio di colonna alberese e poi un pavimento riscaldato (suspensurae). Dal 1984 furono organizzati dalla Soprintendenza Archeologica Toscana scavi d’urgenza che portarono alla luce altre pavimentazioni, una statuetta in bronzo, un’ urna cineraria, del vasellame, un “mortarium” in pietra ossia la sottomola di una macina da frantoio e una vasca rivestita di cocciopesto per il deposito della sansa macinata ed altri reperti che testimoniavano l’insediamento. La porzione scavata è stata assai marginale e sicuramente la villa romana  si trova sotterrata sotto il terrapieno dell’Autostrada.

L’epigrafe funeraria di Publio Alfio Erasto con gli strumenti di lavoro. Tradotta sarebbe ” Versinia Tyche, moglie libera, in vita fece per Publio Alfio Erasto commerciante di legname per costruzione, coniuge benemerito.” L’epigrafe rappresenta un “unicum” nel suo genere perchè qui sono incisi gli strumenti di lavoro del commerciante di legname di quell’epoca.

 

Perchè questa lapide importante finisce a Sammezzano ?  Molto probabilmente perchè intorno alla metà dell’Ottocento quando il Marchese Panciatichi comandava la guardia civica installatanel palazzo, che fu dei Niccolini (via del Proconsolo),  si può ipotizzare che fra i tanti oggetti di antiquariato portati al Castello di Sammezzano ci sia stato anche questo importante reperto che si trovava nel cortile.

Ripresa dall’alto del Castello.

 

PENSIERO FINALE

Di tesori infinitamente belli la Toscana e più in generale tutta l’Italia abbonda. Purtroppo molto di questo patrimonio, sconosciuto e non, viene lasciato alla sua inesorabile decadenza per i mille motivi che non starò ad elencare ma sicuramente in primis è dipeso da quella volontà politica che circa un trentennio fa qualcuno che era alla guida della “povera patria “, per dirla con le parole del grande Franco Battiato, definì che “con la cultura non si mangia” .

L’abbiamo visto in questo anno e mezzo di pandemia quante persone vivono e quanto indotto vive intorno alla produzione culturale, al nostro turismo e alla manifattura prodotta per questo . Quel messaggio non teneva conto della nostra storia artistica nel mondo, dell’ingegno italiano, impoverendo, di fatto, la nostra economia. Il PIL, nel settore turistico- globale in Italia, vale solo il 13% pur essendo il Paese che possiede il più grande patrimonio culturale a livello mondiale. Quelle scelte sbagliate portano, oggi a noi, a dimenticare una storia, una memoria che potrebbe sostenere tanta economia pulita, libera e originale. Il danno è duplice: culturale ed economico. Sammezzano ne è un esempio tangibile. La sua originalità ce lo dice.

A me è venuto alla mente il parallelo con Ludwig, Re di Baviera dal 1864 al 1886. Anche lui era un sognatore ma fu detto che era un pazzo. Il fratello del Re di Prussia finì tante sostanze costruendo castelli come Neuschwanstein (ispiratore di Walt Disney in tanti cartoni animati), Linderhof (giardino stile Versailles con chioschi moreschi) , Herrenchiemsee (una Versailles bavarese). Finì ucciso, probabilmente,  per mettere fine alle sue stravaganze.

Oggi in Baviera, milioni di persone visitano i Castelli di Ludwig insieme alla Romantiche Strasse e questi stentano a pensare che sia stato il frutto di solo 150 anni fa di una mente eccentrica. Ma il nostro Marchese Panciatichi così come Ludwig di Baviera  vissero in secoli sbagliati ? Forse. Ma quel patrimonio che ci hanno lasciato non dovrebbe andare disperso. Per i tedeschi così non è stato stato tanto che la visita ai Castelli di  Ludwig rappresenta un’economia turistica importante e vitale della regione e della stessa Germania. 

A volte non importa essere originali ma solo copiare quello che altri hanno saputo far meglio di noi.