Dopo il Trittico Ripolese https://blog.andrearontini.it/trittico-ripolese-meraviglia-in-tre-tappe-di-marco-hagge/ proponiamo questa seconda tappa avventurandoci nella mitica Val d’Orcia. Come scrive di seguito Marco Hagge, abbiamo selezionato questo primo percorso tra la Via Cassia e le due bellissime cittadine di Pienza e di S.Quirico d’Orcia. Sappiamo che la Val d’Orcia comprende altri bellissimi luoghi come Radicofani e soprattutto Montalcino, la famosa terra del Brunello ricca di tanta storia antica e recente, conosciuta nel mondo per la pregiatezza del suo vino primo in Italia ad ottenere il pregiato marchio D.O.C.G (Denominazione di origine controllata e garantita). Cercheremo in un prossimo futuro di colmare questa lacuna con un seconda tappa dedicata a questa straordinaria terra del Brunello. Ed ora, parola a Marco che ci guiderà nella incantevole Val d’Orcia.
Che bel paesaggio! Perché non ci facciamo un deposito di scorie nucleari? Beh, non sappiamo se gli “esperti” incaricati di individuare i requisiti dei territori da proporre come possibili cimiteri di scarti atomici abbiano ragionato esattamente così, ma il risultato è questo; che però, paradossalmente, individua i pregi grazie ai quali la Val d’Orcia, dal 2004 è inserita nella lista Unesco del World Heritage, che enumera i beni, culturali e ambientali, da considerare “Patrimonio dell’Umanità”.
In effetti, la Valle dell’Orcia è isolata, lontana dalle grandi infrastrutture stradali e ferroviarie, dagli aeroporti, dai complessi industriali, dalle metropoli: la città più vicina, Siena, è comunque distante parecchie decine di chilometri. Insomma, un territorio di pregio, carico di storia, ricco di scorci incantevoli, di cui fanno parte i Comuni di Castiglione d’Orcia, Pienza, San Quirico, Radicofani e Montalcino. L’itinerario che abbiamo scelto, uno fra i tanti possibili, si svolge nei primi tre: anche il visitatore più curioso deve darsi un limite, per evitare di perdere l’orientamento per troppa abbondanza di luoghi, storie, personaggi, identità. Per chi fosse interessato, ecco alcune istruzioni per l’uso.
LE STRADE
Se le strade non sono moltissime, in compenso sono tanti i sentieri da percorrere a piedi. In tutto, solo nei Comuni di San Quirico e Pienza, formano un reticolo di almeno 300 chilometri. In questa terra antica, la direttrice principale è antichissima: la Via Cassia, nata più o meno 23 secoli fa per collegare Roma con l’Etruria interna. Molti tratti del percorso, nel Medio Evo, coincidevano con quello della Via Francigena – o meglio, con la rete di itinerari che veniva definita come tale. La più importante strada europea, infatti, non aveva un tracciato preciso, se non nei tratti prossimi ai centri abitati. In tutti gli altri casi le varianti potevano essere numerose, magari stagionali, e spesso dipendenti da eventi fortuiti: se ad esempio un ponte crollava, prima di ricostruirlo si cercava lungo il corso d’acqua un punto poco profondo, da guadare senza pericolo. Se poi pioveva troppo e un guado diventava impraticabile, si ricominciava da capo.
Insomma, chi andava a Roma sapeva dove arrivava, ma non necessariamente quando e passando esattamente da dove. Questa atmosfera “pionieristica” sopravvive ancora oggi: non a caso, la Cassia è legata alle Mille Miglia, la prima corsa automobilistica che, già nel nome, richiama epoche e atmosfere di altri tempi, quando viaggiare era ancora un’esperienza avventurosa, attraverso i territori, isolati e bellissimi, dell’Italia interna.
L’altra strada importante, in direzione Est/Ovest, è la Provinciale 146, che collega la Val d’Orcia con la Val di Chiana, passando poi il testimone alla Provinciale 323, che prosegue verso l’Amiata: l’ex vulcano si staglia all’orizzonte come un totem, e delimita il territorio con la sua linea inconfondibile.
Il fascino della Val d’Orcia è anche e soprattutto questo: il continuo variare dei panorami, come in un enorme caleidoscopio, dove ogni elemento appare e scompare, si scompone e si ricompone a seconda dei diversi punti di vista, in un incessante, sorprendente scambio di prospettive.
LA STORIA
Fra i due borghi principali della Val d’Orcia, entrambi in bella vista sui relativi poggi, il più antico è San Quirico, nato intorno alla Via Francigena, che lo attraversa da un capo all’altro. Un centro importante, come dimostra il complesso della Pieve, che si svela lentamente, con sapienza scenografica, rinnovando a chi arriva, la sorpresa che accompagnava i viandanti, accolti nell’abbraccio degli edifici dopo il lungo saliscendi tra crinali e fondovalle.
San Quirico ha vissuto il suo momento di gloria nel XII secolo, legato al nome di Federico I, detto il Barbarossa, il Sacro Romano Imperatore disceso in Italia per ristabilire i diritti usurpati dai liberi Comuni durante la latitanza dei suoi predecessori, quando anche la Chiesa aveva aumentato enormemente potenza e prestigio. Divisi sul resto, Papa e Imperatore trovarono comunque un punto d’incontro, che rimane anche un efficace esempio di Realpolitik, di cui San Quirico fu la scena: qui venne catturato, e consegnato agli ambasciatori pontifici, Arnaldo da Brescia, il canonico agostiniano, che, riciclatosi agitatore politico, era diventato l’anima del libero Comune da cui il Papa era stato cacciato da Roma.
Purtroppo il passaggio del fronte durante l’ultima guerra ha gravemente danneggiato, e in buona parte distrutta, la cinta delle mura, di cui rimangono pochi (anche se bellissimi) tratti, come quello della torre di guardia superstite, che appare a chi arriva come una specie di case delle fate.
In compenso, è rimasto illeso lo spettacolare giardino che, all’altro capo del borgo, offriva sollievo ai viandanti, e un ottimo punto di ritrovo per le passeggiate dei residenti. In altri termini, un grande parco pubblico nato quasi 5 secoli fa; isola sempreverde, recintata e sicura, ritagliata nell’immensità dello spazio circostante.
Sono gli Horti Leonini, denominazione che in italiano suonerebbe più o meno “i giardini del Leoni”: potrebbe funzionare benissimo come insegna di un agriturismo o di un B&B. Il proprietario del terreno, Diomede Leoni, fece insomma esattamente il contrario di quello che tutti si sarebbero aspettati: non una villa con giardino per se stesso, ma un giardino senza villa per tutti. Quando si incontrano, l’intelligenza e la generosità fanno davvero miracoli.
LA CULTURA
Dirimpetto all'”imperiale” San Quirico si affaccia Pienza, la metropoli formato tascabile di Enea Silvio Piccolomini, alias Pio II, papa dal 1458 al 1464. Il Pontefice giocava in casa: era nato da queste parti, e venne battezzato nella bella Pieve che si trova sul pendio del poggio, sotto il villaggio che, prima di cambiare volto e aspetto, portava il nome poco rassicurante di Corsignano dei Ladri.
Per nobilitare il luogo che gli aveva dato i natali, Pio II decise di trasformarlo in città (qualifica che veniva concessa alle sedi vescovili, piccole o grandi che fossero), e di dare a questa il suo nome. Da raffinato intellettuale qual era, affidò il progetto a una archistar che conosceva alla perfezione il nuovissimo linguaggio architettonico che stava prendendo forma in quegli anni a Firenze: Bernardo Rossellino.
Descrivere i giochi prospettici e la maestria scenografica dispiegata dall’architetto, seguace del classicismo riscoperto da Leon Battista Alberti e Filippo Brunelleschi, è impossibile, e quindi inutile: Pienza è una città fatta per essere vista, da apprezzare “in presenza”, si direbbe oggi, camminandoci dentro, se possibile senza fretta.
Ovviamente, quanto più si ha voglia di entrare nel gioco prospettico fra i pieni e i vuoti, l’orizzontalità e la verticalità, i dettagli e l’insieme, gli spazi chiusi e le aperture panoramiche, tanto più si apprezzerà la grandiosa impresa del Rossellino, che ha creato dal nulla la prima “città ideale” del Rinascimento, consegnandola al committente, chiavi in mano, nel giro di appena tre anni.
Utopia diventata realtà, capolavoro che fa ancora scuola in tutto il mondo: con la meraviglia ulteriore che sia rimasta com’è. Il motivo è semplice, un colpo di genio del Fondatore, che si inventò un formidabile regolamento urbanistico: la scomunica, che sarebbe scattata automaticamente per chi, a Pienza, osasse spostare un solo mattone. Un esempio efficacissimo di “semplificazione normativa”, che, purtroppo, non ha fatto scuola…
LE ACQUE
A prima vista, con la Val d’Orcia l’acqua sembrerebbe aver poco a che fare. L’Orcia, che nasce sul Monte Cetona, è un fiume che non ha neanche l’onore di arrivare al mare: confluisce nell’Ombrone dopo circa 70 chilometri di corso (ancora più breve quello del torrente Vivo: appena 15 chilometri). Le acque della Val d’Orcia preferiscono nascondersi sottoterra, ma quando riemergono danno spettacolo: l’Amiata ne è così ricco, che, secondo una suggestiva etimologia, il monte prenderebbe il nome dall’espressione latina ad meata, cioè “presso le sorgenti”.
Etimologia troppo pittoresca per essere vera? Fatto sta che proprio nelle viscere della montagna, nel Comune di Castiglione d’Orcia, si trova la sorgente dell’Ermicciolo, una delle fonti che alimenta l’acquedotto del Fiora; come è vero che l’Amiata fornisce le acque termali che da secoli leniscono residenti e viandanti, ricchi e poveri, guelfi e ghibellini, santi e gaudenti: le giunture che scricchiolano e il relax che le conforta sono rigorosamente bipartisan.
Lo stabilimento termale più antico, quello di Bagno Vignoni, è probabilmente l’unico luogo al mondo che sia nato intorno a una piazza liquida, acquatica, dove perfino il vapore, all’alba e al crepuscolo, diventa parte del paesaggio.
Acqua calda e terapeutica, dove hanno curato stanchezza, bronchiti e articolazioni, bagnanti comuni e bagnanti famosi (come Santa Caterina da Siena, Lorenzo il Magnifico, o lo stesso Pio II). Il tutto gentilmente concesso dal Monte, che riscalda l’acqua piovana al calore ipogeo, relitto della sua antica attività vulcanica, e la restituisce come acqua termale nel giro di una cinquantina d’anni.
Ma lo stabilimento più spettacolare, totalmente naturale, è nascosto in un bosco, ai Bagni di San Filippo.
E’ stato chiamato a furor di popolo “la Balena Bianca”: una meraviglia di zolfo e di calcare depositati dall’acqua; un monumento naturale che sembra fatto di panna, dove si affollano i bagnanti: anche troppo, per la verità. Una sorveglianza più accurata non guasterebbe di certo, sia per l’incolumità dei soliti furbi che sfidano i divieti, sia per quella della parete bianca, che, come tutte le balene di questo mondo, non è né invulnerabile, né immortale.
PUNTI DI VISTA
Per fare un paesaggio ci vuole un punto di vista, e in Val d’Orcia c’è solo l’imbarazzo della scelta. Basta spostarsi, e le visuali si moltiplicano, alla velocità del mezzo di trasporto che si preferisce: l’auto, la bici, o le gambe. Qui i paesaggi sono mutabili, vibranti, legati alla stagione dell’anno, al meteo del giorno e alla luce dell’ora. A volte sembrano fatti di niente: un colle, un filare di cipressi, una chiesetta.
Come quella di Vitaleta, che, vista dal crinale di fronte, si rivela come un quadro che costruisce la propria cornice: un segno grafico minimale ma perfetto, che trasforma il colle sul quale si trova, lo promuove da elemento geografico a scenografia, con una leggerezza che lascia stupefatti: chi avrà deciso di costruirla, proprio in quel punto, appoggiata come un soprammobile su uno scaffale, in compagnia dei due cipressi che le fanno da sentinelle?
Il minimo dei mezzi per il massimo dell’effetto, come nelle opere d’arte: sposta qualcosa, e il miracolo svanisce. Un paesaggio pensato, e che fa pensare; per esempio al fatto che con gli scempi urbanistici si applica lo stesso principio, ma esattamente al contrario: il minimo sforzo per il massimo del danno.
In tutti i paesaggi toscani i cipressi giocano un ruolo fondamentale, li garantiscono come marchio di fabbrica: snelli, asciutti, essenziali, e, qualità non secondaria, versatili; a loro agio negli “a solo” in mezzo a un campo, come nelle sinfonie dei filari, ai lati di una strada che si avvita in serpentina sul fianco di un colle. In Val d’Orcia, talvolta diventano icone vere e proprie. Come il cerchio (o tondo, o corona: chiamatelo come preferite) di cipressi che si trova al km. 189 della Via Cassia.
Che sia la memoria di un antico cimitero, o un segnale di confine, o il residuo di un bosco scomparso, negli ultimi anni questo scampolo di campagna è diventato, specialmente nei fine settimana, il punto di ritrovo dove convergono, armati di obiettivo fotografico, turisti da ogni angolo della terra. Ovviamente, la corona di cipressi c’era da sempre; il successo mediatico è arrivato con la variante attuale della strada. Il vecchio percorso passava dietro il colle vicino, e il boschetto è rimasto nascosto per secoli.
Insomma: qualche albero in cerchio, lo spazio che fa da cornice, una strada che ci passa accanto: e un angolo sconosciuto diventa una star globale. Tanto che, nel 2006, Monsanto, la multinazionale americana produttrice di organismi geneticamente modificati, ebbe la bella idea di utilizzarlo sul proprio portale Internet per rifarsi un look ecologico. Ne nacque un caso internazionale: il Comune di San Quirico protestò; la Regione Toscana sostenne la protesta, fino a quando l’immagine venne rimossa: a dimostrazione che, anche nella globalizzazione più sfacciata, c’è un limite a tutto: specialmente se gli enti pubblici preposti alla tutela del territorio si muovono in sintonia con la pubblica opinione.
LA TUTELA
Abbiamo detto che un paesaggio presuppone un punto di vista. Ma i punti di vista, oltre a quello fisico, oggettivo, del cono visivo, dipendono anche dalla sensibilità di chi guarda, apprezza o rimane indifferente, si emoziona o si annoia, oppure si può interessare solo agli aspetti morfologici, geologici o utilitari: al limite, quale possibile sede di un impianto industriale, di una discarica o di un deposito di scorie atomiche, come ha recentemente ipotizzato la Sogin, stilando la carta nazionale delle aree idonee a ospitarlo.
Ma un paesaggio è anche (e forse soprattutto) uno stato d’animo. Di armonia e di equilibrio, in questo caso; ma anche di leggera apprensione, se pensiamo alla fragilità di questo stesso equilibrio, grazie al quale, dal 2004 la Valdorcia è Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Ovviamente, nella lista dell’Unesco, come si entra si può sempre uscire; ma farne parte significa anche avere in mano uno strumento tutt’altro che trascurabile di conservazione e di tutela.
Tuttavia, dalla sollevazione contro la Monsanto a quella contro il deposito di scorie atomiche, abbiamo la fondata speranza che oggi l’opinione pubblica sia in grado di mostrare, all’occorrenza, una forza analoga a quella della scomunica di Pio II contro chi avesse osato manomettere l’equilibrio delicatissimo della sua città ideale.
MARCO HAGGE
NOTE FINALI
Ringrazio Marco Hagge per aver messo le sue conoscenze e l’arte di divulgare in questo mio blog. Naturalmente nessuno pensa di completare tutta la storia e la bellezza della Val d’Orcia, pensiamo comunque di aver dato un piccolo granellino di sabbia alla nostra bella terra toscana amata da tutto il mondo.
Se volete vedere altre mie foto potrete consultare il sito web www.andrearontini.it
ANDREA RONTINI