10
Giugno
2021

Il Parco di Fontesanta e il Campo degli Apostoli: un gesto di tre uomini generosi.

Nel dicembre del 2020 insieme a degli amici di Antella decisi di fare un’escursione al Palazzaccio di Marcignano….

per vedere, con il drone, le rovine del vecchio rudere cinquecentesco come si stagliavano fra i castagni e le querce colorate dell’autunno. Mi aspettavo quei bellissimi colori ma la vera scoperta fu il campo degli Apostoli, sotto il Palazzaccio dove decisi di scattare alcune foto. Il blog che realizzai  https://blog.andrearontini.it/una-scampagnata-fra-i-colli-dellantella-il-volo-sui-ruderi-del-palazzaccio-e-la-sorpresa-di-un-campo-di-apostoli/ fece sì di essere chiamato dallo scultore che aveva scolpito il campo di Apostoli.   Il suo nome è Antonio Crivelli.

Il campo degli Apostoli.

Gli proposi, allora, di fare una cosa più sistematica fotografando tutte le sue statue, sia quelle del campo degli Apostoli che quelle di Gavignano dove lui stesso ha dato il nome di Parco di Fontesanta. E’ stato un giorno particolare; Antonio mi ha fatto conoscere i proprietari delle terre dove le sue opere sono collocate, Riccardo e Tonino. Ho trascorso una giornata felice all’aria aperta ascoltando i racconti di questa bellissima storia. Ho chiesto quindi ad Antonio di raccontarla in questo blog. Il suo racconto è in corsivo.

È cominciato per caso.

Era la primavera del 2013 e mentre camminavamo per i terrazzamenti del Podere di Marcignano, sotto i ruderi dell’antico castello del Palazzaccio, Riccardo mi chiese di scolpire qualche statua sui macigni sparsi qua e là nella castagneta. All’improvviso fummo colpiti da una comune intuizione indotta dal fascino del luogo: quella di installare una fila di statue di pietra, affacciate dall’alto su Firenze e sul lontano Cupolone, come nunzi in arrivo dall’oriente.

Così nacque, come un sogno ad occhi aperti, l’idea degli Apostoli. Avevamo percepito la forza suggestiva dell’ambiente, che si apriva dall’intrico di alberi in vasti gradoni erbosi sorretti da antichi muri a secco, come un sagrato aperto sulla Toscana, ad abbracciare l’intero orizzonte dalle colline del Chianti agli Appennini e poi giù in fondo fino alle Alpi Apuane.

Un grande teatro evocante un che di maestoso e sacro, insieme.

Ma dove trovare dodici macigni di grandi dimensioni e trasportarli fin lassù per il bosco?

Ci mettemmo alla ricerca, lì nel castagneto e poi più in alto, nei dirupi fra le grandi querce avvolte dall’edera: massi tanti, ma piccoli e inadatti ad effigiare figure monumentali.

Cominciai, nel frattempo, a scolpire presso i resti del castello alcuni isolati macigni trovati sul posto, tolti alla terra dalla benna dello scavatore e messi in piedi lì, dov’erano.

Il primo fu il Guerriero Etrusco, che estrassi incidendo l’arenaria con subbia e gradina. Dapprima emerse un volto calzato da un elmo, poi le mani e infine il grande scudo. Ci vollero tempo e polvere per liberare la figura dall’informe ammasso materico, ma subito la nuova presenza animò quella radura incassata tra secolari castagni.

Il Guerriero Etrusco.

Proprio accanto si intravedeva nelle volute di un masso la proboscide di un elefante, forse fossilizzatosi dal passaggio di Annibale due secoli avanti Cristo. Così fu rimesso alla luce.

L’Elefante.

Terzo del gruppo è stato l’Uomo di Neanderthal, scorto mentre usciva da un vecchio pietrone coperto di licheni e tirato fuori senza tanti complimenti.

Uomo di Neanderthal.

Il gioco cominciava a farsi serio e un crescente entusiasmo portò a dissotterrare e allineare davanti al castello, piana da giostre di cavalieri, tre macigni che misero in mostra un Castellano (templare S.Galgano) stanco di battaglie che ficca la spada nella roccia,

Il Castellano.

Il Castellano.

una Castellana dal mesto sguardo sui ruderi del Palazzaccio e una fremente Testa di cavallo nella tensione dello scontro.

La Castellana.

La Castellana.

Testa di cavallo.

Testa di cavallo.

Poco più in basso, sul tracciato che sale al castello, da una rupe era emerso il volto severo di un monaco, verde di muschio: ombra inquietante, che vedi solo perché ti senti osservato.

Il Monaco.

Tutte figure ispirate dalle forme suggerite dai sassi stessi, come presenze rinchiuse dall’inizio dei tempi e scolpite solo per accenni, con volti e braccia emergenti dalla materia informe, lasciata nel resto a se stessa per il naturale fascino che ha l’incompiuto rispetto al finito.

Il Palazzaccio e una scultura di Antonio.

In capo a pochi anni il bosco ha così preso una immobile animazione che si è aggiunta all’austera mole del castello, dalle cui consunte bifore ti par di vedere apparire ombre dimenticate.

Il Palazzaccio in autunno.

Ma per comporre l’installazione degli Apostoli nulla veniva fuori sul posto.

Scendendo dall’antico avamposto di Gavignano, nel frattempo si univa al gruppo operativo l’amico Tonino, mani più forti delle pietre e grande intuito nello scoprire i segreti sotterrati dai secoli. E un bel giorno lui mi fece trovare una serie di enormi macigni schierati nella vastità dei declivi che fronteggiano l’antica via Maremmana e affacciano dall’alto sull’intera Toscana.

Un invito irrinunciabile.

Tonino sul trattore.

Nasceva così il complesso di statue di Fonte Santa, scolpite traendo grandi figure, sparse qua e là su quei prati aerei, aperti all’immenso come un paradiso.

Il primo fu il Vate, avvolto nel mantello della sua scorza e col volto incappucciato;

Il Vate.

poco sopra è apparsa la Fata Morgana, dalla maliziosa espressione sotto il cappello a cono.

La Fata Morgana.

Ai piedi di un ombroso castagno, un pietrone megalitico tratteneva il fermo immagine di un Viandante in cammino, curvo sotto il peso invisibile della vita, con la mano protesa al cielo nell’atto di chiedere spiegazioni di senso. Il ritratto di noi tutti.

Il Viandante.

Sul limitare alto della via Maremmana un lastrone liscio come una lavagna ha ospitato l’incisione preistorica di un Cavallo Rampante, ispirata ad un graffito paleolitico.

Il Cavallo Rampante.

Ultima, in alto, troneggia sulle vaste piagge la Famiglia dei Migranti, composta di padre, madre e bambino, che si affacciano esausti e speranzosi sulla terra promessa.

Famiglia di migranti – lato Nord-Ovest

Famiglia di Migranti – Lato Ovest

Famiglia di Migranti – Retro.

Famiglia di Migranti .

Da ultimo, sugli spalti, è sorta l’effigie di Tonino con le mani nei capelli, uscito miracolato dalla caduta col trattore nella sottostante scarpata.

Tonino.

Tonino -Particolare.

Tonino e la sua scultura.

Gavignano con la visione della città di Firenze per dirla con Antonio “come un sagrato aperto sulla Toscana, ad abbracciare l’intero orizzonte dalle colline del Chianti agli Appennini e poi giù in fondo fino alle Alpi Apuane.”

Ma per gli Apostoli, cerca qua cerca là, ancora niente.

Veduta da Gavignano sulla città attorniata dalla montagne.

Furono loro, alla fine, a farsi trovare: dodici macigni, non da una cava o a giro per i boschi ma sottoterra, proprio là dove l’idea era partita.

Era il gennaio del 2017.

Operando con la benna per togliere un sasso sporgente, Riccardo si imbatté in un macigno dalle dimensioni colossali. Estrarlo e collocarlo richiese l’intervento di altri macchinari e della spericolata abilità di Tonino nel calzarlo con pietre.

Tonino con l’escavatore.

Poi, dalla stessa buca emersero, uno dopo l’altro, ancora undici macigni, non uno di più né uno di meno. Ecco dove erano i dodici Apostoli: ci avevano chiamato proprio là dove era nata l’intuizione. Poi, stanchi di aspettare, avevano creato l’occasione perché ci decidessimo a scavare proprio lì.

La grande buca che ospitava le pietre degli Apostoli.

Talvolta è difficile credere nelle coincidenze fortuite, ma rimanemmo stupefatti e quasi increduli che i nostri apostoli si trovassero da sempre proprio lì, sotto a quel prato a vista Firenze dove l’idea era nata.

In due giorni di intenso lavoro, i dodici blocchi sono stati estratti, allineati e posizionati, formando una lunga fila affacciata sulla Toscana, acquisendo fin da subito la suggestiva immagine di una misteriosa installazione di menhir.

Le pietre allineate.

Dopo un anno di indugi se lasciare i massi così com’erano, mi decisi per un intervento minimale, salvaguardando la potenza evocativa della materia.

Ho cominciato con la figura di Giacomo il Maggiore, patrono dei pellegrini, con bastone e volto energico

L’Apostolo Giacomo.

e ho poi seguito l’ordine di apparizione sul lago di Tiberiade, con Andrea, il pescatore di uomini;

L’Apostolo Andrea.

L’Apostolo Andrea

Filippo, lo sbalordito per la moltiplicazione dei pani;

L’Apostolo Filippo.

Giovanni l’evangelista;

Giovanni l’evangelista.

Natanaele, o Bartolomeo;

Natanaele o Bartolomeo.

Tommaso, l’incredulo;

Tommaso.

Matteo, l’altro evangelista fra i discepoli;

l’Apostolo Matteo.

Giacomo di Alfeo, fratello di Gesù;

Giacomo di Alfeo.

Giuda Taddeo, dall’aria riflessiva con le dita nella barba;

Giuda Taddeo.

Simone il Cananeo, lo Zelota;

Simone il Cananeo.

infine Mattia, scelto in sostituzione di Giuda Iscariota.

Mattia

Quest’ultimo, sta dietro a tutti, su terrazzamento separato, con la mano avvinta alla saccoccia dei danari.

Giuda Iscariota.

Ultimo a essere scolpito è Simon Pietro.

L’Apostolo Pietro.

La sua figura, ritratta sul primo e più grosso dei macigni, sta girata all’indietro rispetto agli altri perché non ne voleva saperne di stare allineato dall’altra parte, cadendo a ogni tentativo di ruotarlo. Pietro, dunque, ha voluto guardare a oriente, verso la nascita della luce.

Ultima operazione è stata il montaggio di un altare preistorico in lastroni, che sembra un dolmen. Lì, davanti agli Apostoli, il 13 giugno 2020 ha celebrato la messa di inaugurazione Padre Cesare, cappellano francescano della Scuola dei Carabinieri della Toscana, ricordando che è così, intorno ad un luogo sentito come sacro dalla gente, che nascono i santuari.

Altare preistorico (Dolmen).

E già nella zona il sito è comunemente indicato come “gli Apostoli”.

Il Campo degli Apostoli dall’alto. Si può notare in alto a destra il borghettino di Calcinaia, comunemente chiamato ” Calvelli “ e in lontananza la città di Firenze.

Questa iniziativa ha dunque natura privata e spontanea ed è mossa dal solo intento di valorizzare, con una mostra a cielo aperto, il territorio dell’Antella a vantaggio di chiunque si spinga in questi boschi per amore della natura o alla ricerca di quel genio del luogo nascosto nelle pieghe di un mondo arcaico.

Antonio Crivelli con Simon Pietro, l’unica pietra che non si è voluta allineare e che guarda la nascita del sole.

Veduta da Gavignano sulla città di Firenze e in primo piano Antella.

Firenze da Gavignano.

 

PENSIERO FINALE

Tre persone generose hanno offerto spazio, lavoro e ingegno in questo angolo di pace sulle nostre colline. Ad Antonio, Riccardo, e Tonino va la nostra riconoscenza di concittadini di questo territorio per aver messo a disposizione il loro tempo e le loro energie. Come ha descritto molto bene Antonio, questo luogo è privato ed è accessibile nella misura in cui noi tutti lo sapremo rispettare e tutelare. Tutti possiamo godere di questo panorama mozzafiato e delle stupende sculture di Antonio, sia nel campo degli Apostoli che di Gavignano. Purtroppo qualche noce nel sacco che non suona c’è sempre e qualche atto vandalico è già stato registrato. Tutelare le opere vuol dire non toccare le statue, non giocarci sopra; insomma ricordiamoci che è un museo a cielo aperto, gratuito e libero. In cambio gli autori non ci chiedono niente ma solo di rispettare “questo teatro evocante, maestoso e sacro ” con buonsenso.